martedì 23 gennaio 2018

Ulisse e il superamento del tempo perduto; il canto XII - 17 gennaio

Qualche filo di lettura
Nell’incontro con le Sirene Ulisse incontra la seduzione del passato; Ulisse è l’oggetto del loro canto ed ascoltarlo avrebbe provocato in lui lo stesso destino che ad altri era capitato: morire e rimanere vicino alle Sirene stesse, orrenda fine di un piacere senza fine. Sono, in un certo qual modo, la “amplificazione” della tentazione dei Lotofagi: dimenticare il presente e far perdurare il passato, questo il rischio che Ulisse vuole correre (perché, non dimentichiamolo, potrebbe anche lui sigillarsi le orecchie come fanno i suoi compagni, ma la tentazione di conoscere è forte…).
L’astuto Ulisse è, nel canto delle Sirene, colui “che è oggetto di molti canti” (πολύαιν’ Ὀδυσεῦ XII, 184): un epiteto nuovo, tutto suo, che lo sollecita all’ascolto. Ma, memore degli ammaestramenti di Circe, Ulisse ascolta ma non cede, ben incatenato dai compagni, che invece non avevano avuto modo di ascoltare la seduzione del canto.
Nel superare l’ostacolo, Ulisse si dimostra il più grande allievo di Achille e del suo insegnamento: non investe sulla gloria del passato ma cerca il ritorno nella casa e nella famiglia; va oltre la dolcezza del piacere del ricordo e affronta presente e futuro per affetto e destini.
Nell’incontro-scontro con Scilla e Cariddi Ulisse sceglie “il male minore”: il sacrificio di sei compagni di viaggio che Scilla chiede a chi passa da quei luoghi. Questo è l’ultimo ostacolo che si frappone con violenza al ritorno di Ulisse ad Itaca.
La scena delle morti dei compagni provoca in Ulisse il moto di compassione maggiore che abbia mai avuto il coraggio di esprimere (XII, 258-59)
Infatti l’approdo all’Isola del Sole vede un divieto infranto, non un attacco ad Ulisse e compagni impegnati sulla via del ritorno. Euriloco, addirittura riprendendo parola per parola l’esordio del discorso di Ulisse, convince i compagni a superare il limite del divieto divino, con la promessa di una futura espiazione.
E sarà questa la causa della sventura di tutti i compagni di Ulisse, che periranno nel viaggio successivo, colpevoli di aver infranto l’unico tabù posto loro dinnanzi nell’ultima delle soste del loro travagliato viaggio.
Il canto si chiude con il ritorno alla domanda di Arete e con l’inizio del racconto, quando Ulisse narra dell’arrivo a Ogigia (VII, 247 sgg.) “ma perché raccontarlo? (…) mi è odioso raccontare di nuovo cose dette per filo e per segno”. (XIII, 450; 452b-453).

La citazione

«Omero ci fa riconoscere Odisseo come una persona, come essere umano con la propria storia, le proprie esperienze e i propri sentimenti. Alla ricostruzione del suo passato, a ciò che Proust chiamerebbe “una ricerca del tempo perduto”, Omero e Odissea dedicano i successivi quattro libri del poema (9-12): i quali, quanto al riconoscimento dell’identità dell’eroe, hanno la forma di una V, all’inizio della quale Odisseo è ancora l’eroe greco che ha distrutto Troia, mentre al fondo è, letteralmente, nessuno, e alla fine inizia a riacquistare la propria personalità».
Boitani P., Riconoscere è un dio, Einaudi, Torino 2014, p. 74

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