venerdì 12 gennaio 2018

Superare il passato

  1. Σειρήνων μὲν πρῶτον ἀνώγει θεσπεσιάων
    φθόγγον ἀλεύασθαι καὶ λειμῶν’ ἀνθεμόεντα.
    οἶον ἔμ’ ἠνώγει ὄπ’ ἀκουέμεν· ἀλλά με δεσμῷ
    δήσατ’ ἐν ἀργαλέῳ, ὄφρ’ ἔμπεδον αὐτόθι μίμνω,
    ὀρθὸν ἐν ἱστοπέδῃ, ἐκ δ’ αὐτοῦ πείρατ’ ἀνήφθω.
    εἰ δέ κε λίσσωμαι ὑμέας λῦσαί τε κελεύω,
    ὑμεῖς δὲ πλεόνεσσι τότ’ ἐν δεσμοῖσι πιέζειν.

    «Anzitutto ci esorta a fuggire il canto
    e il prato fiorito delle divine Sirene.
    Esortava che ne udissi io solo la voce. Legatemi dunque
    in un nodo difficile, perché lì resti saldo,
    ritto sulla cassa dell’albero: ad esso sian strette le funi.
    Se vi scongiuro e comando di sciogliermi,
    allora dovete legarmi con funi più numerose».
    (Odissea XII, 158-164; trad. G.A. Privitera)

    Il canto delle Sirene non è in sé un canto mortale: lo diventa perché fuori dalla portata dell’uomo, perché – soprattutto per Ulisse, che ne è contemporaneamente soggetto e destinatario –  fa perdurare il passato e nega il presente.
    Mercoledì prossimo, il 17 gennaio, Ulisse sarà alle prese con le seduzioni del piacere.

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