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Σειρήνων μὲν πρῶτον ἀνώγει θεσπεσιάωνφθόγγον ἀλεύασθαι καὶ λειμῶν’ ἀνθεμόεντα.οἶον ἔμ’ ἠνώγει ὄπ’ ἀκουέμεν· ἀλλά με δεσμῷδήσατ’ ἐν ἀργαλέῳ, ὄφρ’ ἔμπεδον αὐτόθι μίμνω,ὀρθὸν ἐν ἱστοπέδῃ, ἐκ δ’ αὐτοῦ πείρατ’ ἀνήφθω.εἰ δέ κε λίσσωμαι ὑμέας λῦσαί τε κελεύω,ὑμεῖς δὲ πλεόνεσσι τότ’ ἐν δεσμοῖσι πιέζειν.«Anzitutto ci esorta a fuggire il cantoe il prato fiorito delle divine Sirene.Esortava che ne udissi io solo la voce. Legatemi dunquein un nodo difficile, perché lì resti saldo,ritto sulla cassa dell’albero: ad esso sian strette le funi.Se vi scongiuro e comando di sciogliermi,allora dovete legarmi con funi più numerose».(Odissea XII, 158-164; trad. G.A. Privitera)
Il canto delle Sirene non è in sé un canto mortale: lo diventa perché fuori dalla portata dell’uomo, perché – soprattutto per Ulisse, che ne è contemporaneamente soggetto e destinatario – fa perdurare il passato e nega il presente.Mercoledì prossimo, il 17 gennaio, Ulisse sarà alle prese con le seduzioni del piacere.
venerdì 12 gennaio 2018
Superare il passato
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