mercoledì 27 dicembre 2017

«Ulisse voleva uscire dal mondo delle favole e rientrare in quello degli uomini» - 20 dicembre

Qualche filo di lettura

Il canto ha la medesima struttura del precedente: due incontri brevi ed uno ampio e ben sviluppato. 
L’orrore superato dell’incontro con il Ciclope si stempera nel paesaggio fiabesco dell’incontro con Eolo (X 1-13), la cui ospitalità sembra essere in antitesi con quella di Polifemo. Dalla perfezione dell’isola, Ulisse è escluso: si tratta di una struttura pressoché autarchica, che non ammette novità.

L’ospitalità originaria di Eolo si tramuta però in una cacciata: il favore degli dei non arride ad Ulisse e, quindi, nemmeno può arridere a chi lo ospita. Eolo “cambia segno”: passa dal “tutto ospitale” a colui che maledice chi sta tornando sui suoi passi per un proprio errore.

È la curiosità dei compagni, desiderosi di conoscere il contenuto dell’otre dei venti, regalato da Eolo, a causare l’interruzione del viaggio di ritorno, rendendo così tutto il gruppo inviso agli dei.

Nell’incontro con i Lestrigoni l’impianto è simile a quello con i Ciclopi: la sosta (e messa in sicurezza di una nave) in un’isola vicina, la scoperta di creature gigantesche, inospitali e violente.

Solo la prudenza di Ulisse consente di ripartire per il viaggio; il resto della flotta viene annientata da giganti che, diversamente dai Ciclpoi, hanno però una società organizzata, si muovono in gruppo e, sommo orrore, si nutrono di uomini come se questi fossero pesci (X 124).

Circe, come Eolo, è un personaggio “doppio”, perché entrambi sono caratterizzati dal cambiamento di atteggiamento nel loro ruolo di ospite nei confronti degli uomini ospitati. Eolo è inizialmente ospitale e diventa ostile in un secondo momento; Circe, al contrario, dapprima è ostile e nemica (gli uomini che vengono accolti da lei sono poi sottoposti a una tremenda metamorfosi: vengono mutati in animali), mentre in seguito darà le indicazioni perché Odisseo possa compiere il viaggio nel regno dei Morti. Diventa, in questo secondo momento, il simbolo stesso dell’ospitalità e dei rischi che essa fa correre.

Circe tramuta in animali chiunque incontri. Solo Odisseo, per l’aiuto di un dio che gli anticiperà i pericoli indicandogli il modo per sottrarvisi, si salva dall’ingannο che Circe opera costantemente e quasi automaticamente.Gli incantesimi di Circe segnano un'ulteriore tappa dell’incontro con la non-umanità che è stata operata da Odisseo e dai compagni con Ciclopi e Lestrigoni: la trasformazione non è morte, ma è la perdita dei propri tratti esteriori distintivi e benché rimanga un briciolo di coscienza, si assumono le forme di animali, inferiori. Qui non si tratta solo di un cibo magico, come quello che i Lotofagi offrono senza cattive intenzioni agli stranieri: assumendo dei φάρμακα oltre al cibo, i compagni dimenticano la loro patria: si cancella il ricordo del loro passato e viene sepolta la coscienza della propria identità. Ma, e questo è significativo, il νοῦς (mente) di ciascuno resta ἔμπεδος (saldo).

L’incontro con Circe marca anche, e proprio grazie a questo intervento, il cambio di segno delle avventure di Odisseo che sono state vissute, finora, nella sorpresa e nell’aspettativa dell’inatteso mentre diventano, d’ora in avanti, vicende cui Odisseo si prepara, permettendoci di incontare non più la capacità di rispondere alle sorprese ma le preventive riflessioni e valutazioni dell’eroe.

Ed è Circe a svelare l’identità di Odisseo –un’identità che l’eroe ha cercato gelosamente di conservare durante tutte queste peripezie–, una volta superati i tre inganni (una pozione magica, il tocco della verga, il letto) che la maga gli aveva ordito.

La profezia della venuta di Odisseo s’è compiuta: la profezia è memoria e, proprio per questo, come tutto il passato nell’Odissea ha forza cogente. Sembra che la venuta di Odisseo sia scritta nella storia e che sia prefigurato l’arrivo dell’uomo greco, emblema e simbolo di giustizia e misura.
Dopo aver trascorso un anno in liete libagioni, sono i compagni a rimproverare Ulisse che sembra essersi dimenticato della via del ritornoUlisse chiede dunque a Circe di poter partire: Circe acconsente, prefigurandogli la tappa successiva. Circe, in questo modo, prosegue l’ideale staffetta iniziata da Hermes. Un aiuto divino, quello di Hermes, ha consentito a Ulisse di superare la prima delle tappe del viaggio di Ulisse in cui l’eroe ed i suoi compagni non si erano più confrontati con uomini ed esseri straordinari. L’incontro con creature eterne non può basarsi sulle sole forze e sulla sola intelligenza di Ulisse.

La citazione
«Ulisse è l’eroe giusto per i tempi di crisi. Uno che sa cavarsela in ogni situazione, che riesce a inventarsi vie d’uscita inattese quando ormai sembra non esserci più scampo. [….] L’Ulisse di Omero voleva innanzitutto tornare a casa: ritrovare la moglie, il figlio, il focolare. Voleva uscire dal mondo delle favole e rientrare in quello degli uomini.[…]Ulisse è l’eroe dell’intelligenza pratica, capace di trovare di volta in volta la soluzione concreta a problemi concreti». 
(Giorgio Ieranò, Gli eroi della guerra di Troia, Venezia, Sonzogno, 2015, p. 135)

venerdì 15 dicembre 2017

Dei porci essi avevano il corpo...


...ἀνέμισγε δὲ σίτῳ
φάρμακα λύγρ
’, ἵνα πάγχυ λαθοίατο πατρίδος αἴης
αὐτὰρ ἐπεὶ δῶκέν τε καὶ ἔκπιον, αὐτίκἔπειτα 
ῥάβδῳ πεπληγυῖα κατὰ συφεοῖσιν ἐέργνυ.
οἱ δὲ συῶν μὲν ἔχον κεφαλὰς φωνήν τε τρίχας τε 
καὶ δέμας, αὐτὰρ νοῦς ἦν ἔμπεδος ὡς τὸ πάρος περ
«...funesti farmaci
mischiò nel cibo, perché obliassero del tutto la patria.
Dopoché glielo diede e lo bevvero, li toccò subito
con una bacchetta e li rinserrò nei porcili.
Dei porci essi avevano il corpo: voci e setole
e aspetto. Ma come in passato la mente era salda».
(Odissea X 235b-240; trad. G.A Privitera)
Mercoledì prossimo, da Circe, la metamorfosi che cancella il ricordo del proprio passato e seppellisce la consapevolezza della propria identità

giovedì 14 dicembre 2017

I primi tre incontri - 13 dicembre

Qualche filo di lettura

È durante il banchetto che Odisseo torna ad essere sé stesso: svela il proprio nome e recupera l’identità di uomo alla ricerca di sé e della propria terra. Scheria, l’isola dei Feaci, è in un certo qual modo la mediazione tra l’attività frenetica che lo attenderà ad Itaca e l’annichilimento quasi totale che l’aveva contraddistinto ad Ogigia, tappa precedente.

E, in questo canto, Ulisse è l'uomo dell'inganno, il tessitore abile di trame che salvano dai pericoli si parte dall'Ulisse polymetis (πολύμητιςper "tornare" poi al polytropon (πολύτροπον); in un certo senso, si può dire che in questo canto, benché si inizi la trattazione delle peripezie di Ulisse, il protagonista compare più nelle sue caratteristiche di eroe dell'Iliade che dell'Odissea.

Ciconi sono oggetto di pirateria da parte dei Greci (qualcosa di simile a quanto accadeva durante le colonizzazioni?) e sono socialmente organizzati.

Capo Maleo segna il confine non valicabile da parte dei comuni mortali, che corre fra mondo reale e mondo irreale11. Nestore, simbolo della pietas, l’aveva attraversato senza problemi; per Ulisse inizia invece da qui il cammino nello spazio non umano, all’interno del quale potrà rientrare solo grazie all’aiuto dei Feaci, simili agli dei.

L’incontro con i Lotofagi segna l’inizio del mondo dell’oblio e della dimenticanza; superato il capo Maleo si entra in un mondo aklees, privo di gloria, generalmente non coltivato e spesso privo di dimensioni di socialità. La breve avventura inizia il tema delle tentazioni e della seduzione della perdità dell’identità: chi mangia il loto sembra perdere lo scopo della vita, la meta del viaggio da percorrere.

Nell'incontro con i Ciclopi Omero tratteggia un "non-mondo": la descrizione nasce per via negationis e cerca di suscitare da subito la consapevolezza dell’alterità di cui Ulisse è portatore rispetto a queste creature.


Il mondo dei Ciclopi è un mondo chiuso: vivono sparsi per isole che non coltivano, sono incapaci di relazioni e di costruire legami: la loto vita è, in sostanza, la negazione dei valori che costituiscono invece la dimensione associativa delle comunità greche. 

Il tema dell’avvio della ricerca di Ulisse parte da qui; se rimanere sull’isoletta irraggiungibile dai Ciclopi sarebbe stata la scelta di molti dei compagni di Ulisse, il suo statuto di eroe, che si manifesta anche nell’incontro con Polifemo si evidenzia in questo passaggio: si passa dall’eroe che subisce le vicende all’eroe che ne diventa parte attiva e si fa motore dell’azione.  


Tutto l’episodio è segnato dal tema del nascondimento: la luna è, all’inizio del racconto, nascosta
dalle nuvole; l’isola cui Odisseo e i compagni sono approdati era difficile da scorgere; le navi
approdano ma il buio le nasconde alla vista; Ulisse nasconde, tacendolo, il suo nome.


È grazie al vino, usato oltre misura, che però si avvia la soluzione della vicenda; l’esperienza della bevanda offertagli da Ulisse, il vino di Ismaro, stimola Polifemo a un confronto tra le produzioni della propria terra e quella degli infelici ospiti.


Compiuto l’accecamento, nascostosi anche alla vista, Ulisse rimarca a Polifemo i motivi per cui, giustamente, l’ordine viene ristabilito con la sua punizione: l’aver infranto spudoratamente l’ospitalità (peraltro superbamente irrisa) è la causa prima della situazione di cui Polifemo si lamenta. Ulisse ha punito Polifemo in nome dei valori della civiltà che lui rappresenta.


E, in una sorta di sigillo finale, Ulisse rivendica l’impresa ed il pericolo superato, chiedendo al Ciclope di prolungare nel tempo la gloria di un’azione, compiuta con l’astuzia e non con la forza.

La citazione
«Se Odisseo, confrontandosi a dei, maghi e al regno della morte definisce cos’è l’uomo e la sua umanità rispetto al divino e alla morte, confrontandosi al Ciclope definisce l’uomo sociale e civile in confronto con quello selvaggio»».

(P. Pucci, L’io e l’altro nel racconto di Odisseo sui Ciclopi, in «Studi Italiani di Filologia Classica» 86, 1993, p. 27 )

sabato 9 dicembre 2017

Niente di più dolce...

Mercoledì prossimo, lontanissimo da casa sua e (benché) in una situazione pressoché paradisiaca, Ulisse ci dirà (anche) questo:
…οὔ τι ἐγώ γε
ἧς γαίης δύναμαι γλυκερώτερον ἄλλο ἰδέσθαι.
«Non so vedere
altra cosa più dolce, per uno, della sua terra».

(Odissea IX, 27b-28; trad. G.A. Privitera)

venerdì 8 dicembre 2017

6 dicembre – il ritrovamento di Ulisse

Qualche filo di lettura
 
I Feaci sono gli abitanti della terra di confine, quasi i traghettatori dei morti; vicini ai Ciclopi ma costretti ad allontanarsene. Ai confini del mondo (sono definiti gli “èschatoi”, gli ultimi, gli estremi VI 205).
 
E incontriamo, prima immagine diretta, un Ulisse che piange, guardando il mare. Dov’è l’eroe che ci attendiamo? l’eroe alla cui ricerca è partito Telemaco? siamo al “punto zero” di Ulisse; da qui, passando anche per la sua successiva detersione dal salmastro che fa dopo l’incontro con Nausicaa, inizia il suo cammino di risalita.
 
È un Ulisse che rifiuta la proposta di immortalità: preferisce Penelope a Calipso; la pietrosa Itaca al locus amoenus in cui si trova a trascorrere il suo tempo.
 
Ma è destino (moira) che riveda i suoi cari. 
 
E nelle parole di Ermes, messaggero, che prefigura il compiersi di questo destino si delineano da una parte il senso di vicinanza, di com-passione e, dall’altra, quesi segni che, abbiamo visto, rendono gli dei in certo qual modo invidiosi della passionalità, estrema perché mortalmente limitata, degli uomini.
 
Sull’infecondo mare, che non produce vita, ci siamo fermati anche noi per un po’,  indagando soprattutto l'espressione omerica "sul mare colore del vino" (ἐπὶ οἴνοπα πόντον; epì òinopa pònton).
Ci è venuto in aiuto anche Nietzsche: i Greci non conoscevano il blu:
«Quanto diversamente i Greci hanno veduto la natura, se siamo costretti a riconoscere che i loro occhi erano ciechi per l’azzurro e il verde, e invece del primo vedevano un bruno più scuro, in luogo del secondo un giallo (giacché designavano con la stessa parola, per esempio, il colore dei capelli bruni, quello del fiordaliso e del mare meridionale, e con la stessa parola il colore delle piante più verdi e della pelle umana, del miele e della resina gialla: sicché, stando alle testimonianze, i loro grandissimi pittori hanno ritratto il loro mondo solo col nero, il bianco, il rosso e il giallo) – quanto diversa e quanto più vicina agli uomini dovette apparire loro la natura, dal momento che ai loro occhi i colori degli uomini erano anche nella natura preponderanti e questa nuotava, per così dire, nell’atmosfera dei colori umani! (Azzurro e verde disumanizzano la natura più di ogni altro colore)…».
Con queste parole Friedrich Nietzsche denunciava, nell’aforisma 426 di Aurora, la ‘cecità cromatica’ dei Greci, riprendendo un giudizio diffuso negli anni ’80 del XIX secolo. Era stato Johann Wolfgang von Goethe a cominciare: nella sua Teoria dei colori (1808-10) aveva osservato, e non si sbagliava, che il lessico greco del colore esibisce una peculiare ‘mobilità’ e ‘oscillazione’. L’area del giallo, ad esempio, non è nettamente delimitata dal rosso da un lato, dal blu dall’altro, né quella del rosso dal giallo e dal blu: così il termine xanthos può coprire le più diverse sfumature del giallo, da quello lucente delle bionde chiome degli eroi omerici alla vampa rossastra del fuoco, o il purpureo (porphyreos) può sconfinare nel blu. Goethe ne aveva desunto che gli antichi avessero scarso interesse per un’esatta discriminazione delle tinte; e notando, in aggiunta, la tendenza a concepire bianco e nero come colori (riportati all’antitesi di luce e oscurità), poteva giocare la visione greca del colore, esperienza psicologica ‘viva’, contro l’arida scomposizione della luce bianca nel prisma che aveva segnato, con il famoso esperimento di Isaac Newton, gli inizi dell’ottica matematica moderna. 
(il link per la citazione
Ricordiamo che i colori compaiono nell'evoluzione linguistica di ogni società nello stesso ordine: bianco, nero, rosso, verde, giallo, blu, marrone, arancio, viola, rosa e grigio
 
Qual è il rischio che Ulisse non vuole correre nel viaggio di ritorno? morire in un naufragio senza testimoni: la fine eroica è nel combattimento davanti a tutti non in un solitario perire nel mare.
 
Nel sottolineare la perizia di Nausicaa e la sua discrezione, ci siamo anche soffermanti sul quadro che lei dipinge di Arete, la mamma: regina della reggia cui per primo Ulisse deve rivolgere il suo segno di deferenza e saluto. Un quadro familiare dipinto a tinte caldissime, in un palazzo che è umano e anche locus amoenus.
 
Un finale (in due tempi) “metaletterario”, quando la letteratura riflette su se stessa. 
Demodoco  è “cantore divino” e cieco canta, su richiesta, la contesa tra Ulisse e Achille; aggiunge all’Iliade un tassello di uno dei tanti racconti e poi, su invito di Ulisse, canta l’ideazione del cavallo di legno. E, qui, troviamo Ulisse che è come Telemaco: nasconde la commozione del pianto. Il figlio nel sentire narrare del padre mai conosciuto, il padre nel sentire sé stesso narrato.
E, secondo tempo, è la rovina che dà materia di canto ai posteri: la poesia nasce dal “forte sentire” e si nutre di vite e di storie. Quelle che noi leggiamo e stiamo sentendo cantare, proprio come accad(d)e ad Ulisse, che è protagonista del racconto narrato e vissuto.

La citazione
in riferimento a Odissea VIII 487-495
«È un momento cruciale della letteratura occidentale. L’eroe di una storia sta chiedendo a un poeta di cantare il suo passato. Quest’eroe, sinora sconosciuto e senza nome per i presenti, sta per essere conosciuto come Odisseo stesso, l’uomo che ha debellato e distrutto Troia, proprio colui del quale Demodoco ha cantato due volte. Ciò che sinora era per i Feaci materia leggendaria di poesia sta diventando realtà».

(Boitani P., Riconoscere è un dio, Einaudi, Torino 2014, p. 70)

ps: per chi fosse interessato alla "divagazione sui punti di vista", lascio qui il link alla Nencia da Barberino di Lorenzo de Medici: un bell'esempio di quando chi "parla" utilizza la sua enciclopedia di riferimento :-)

lunedì 4 dicembre 2017

Le sue parole, dense come fiocchi di neve d’inverno...


«Ma quando mandava fuori dal petto la sua gran voce e le parole, dense come fiocchi di neve d’inverno, non c’era uno che fosse disposto a stargli di fronte. E allora guardavamo in faccia Odisseo, senza stupirci più».
Così Antenore (Iliade III 221-224; trad. D. Bello) presenta Ulisse.

Ulisse, cura anti apatia

Varrebbe la pena di leggere questo intervento di Alessandro d'Avenia , che rimescola attualità e passato. E lancia una proposta per un...